Consulenza in materia di animali di competenza dell'Ente Locale
Dalla nostra mostra sugli allevamenti intensivi – Rivolta d’Adda, 11 febbraio 2018
I conigli sono allevati in batteria: la dimensione di ogni gabbia è di circa 20 x 35cm o 30 x 25cm alte 30cm, nelle quali vengono stabulati 1 o 2 animali. Il pavimento, come il resto della gabbia, è costruito da reti metalliche che permettono la caduta delle deiezioni; questo fondo crea disagi e fastidi alle zampe. Durante la fase d’ingrasso in ogni gabbia vengono stipati 12-15 animali per mq, misure che permettono ai conigli il solo girarsi su se stessi e l’alzarsi a malapena sulle zampe posteriori.
A livello intensivo il numero di parti per fattrice all’anno è di circa 7-9, la durata della gravidanza è di 31 giorni e una femmina può arrivare a partorire fino a 14 conigli a parto. In media i riproduttori sia femmine che maschi vengono macellati all’età di 2 anni. Ovviamente le coniglie sono ingravidate in modo artificiale. I cuccioli vengono tolti alla madre a 28-30 giorni di età, la madre viene allontanata dalla nidiata che passa all’ingrasso (in cui non mangiano erba, ma farine di origine animale), che si conclude quando i conigli raggiungono il peso di 2,5 kg (verso le 12 settimane di vita). A quel punto sono macellati. In natura conigli vivono almeno dieci anni. Vivendo in condizioni di privazione costante e stress elevato i conigli soffrono e diventano apatici, quasi cercassero di lasciarsi morire per porre fine ad un’esistenza infelice. Vengono perciò somministrate loro sostanze chimiche, come stimolanti e antibiotici, per sviluppare l’appetito e risolvere i deficit immunitari e la infezioni diffuse.
La produzione del latte prevede che i vitelli vengano strappati alle loro madri e, se maschi, uccisi a pochi mesi di vita, trascorsi in box minuscoli e bui per impedirne il minimo movimento al fine di ottenere una carne più tenera. Per la produzione di carne bianca vengono resi anemici nutrendoli con un surrogato del latte Se invece l’obiettivo è quello di ottenere carne di manzo, vengono fatti ingrassare con appositi alimenti arricchiti di ormoni sino all’età di due anni. Le femmine sono invece destinate a diventare mucche da latte. La mucca produce latte solo per il suo cucciolo e solo dopo la gravidanza e smette di produrlo dopo averlo svezzato. In natura lo svezzamento avverrebbe dopo circa un anno, mentre negli allevamenti le mucche vengono continuamente inseminate artificialmente e munte per mesi attraverso macchinari che impediscono l’arresto nella secrezione del latte e anzi ne aumentano la portata. Gli animali arrivano a produrre fino a 40 litri di latte al giorno, ossia una quantità di latte pari a 10 volte di più di quella che produrrebbe in natura, con la conseguenza di un frequente sviluppo di malattie alle mammelle, che diventano doloranti per le mastiti e gonfie di pus, che, tra l’altro, finisce nel latte. In questo scenario la somministrazione di farmaci diviene indispensabile per salvaguardare la produzione. Quando la mucca è stata sfruttata il più possibile e comincia a produrre meno latte viene portata al macello, più o meno intorno ai sette anni di vita, quando in natura potrebbe vivere anche fino a quarant’anni.
L’essere umano è l’unico animale che si nutre del latte di un animale di un’altra specie, oltretutto dopo lo svezzamento.
Sia le capre che le pecore vengono sfruttate, a seconda della razza, per produrre lana, carne, latte e pelle. Le femmine vengono fatte riprodurre di continuo e per questo è molto frequente la fuoriuscita dell’utero dopo il parto, con conseguenti infezioni. Dopo aver partorito, la madre viene separata dai cuccioli, e il latte prodotto destinato alla commercializzazione. Gli esemplari maschi vengono castrati e ad appena poche settimane di vita macellati. (in Italia oltre 700.000 ovini vengono uccisi solo durante le festività pasquali).
Spesso le pecore selezionate per la produzione di lana sono vittime dell’infestazione di parassiti (larve di mosche e mosconi tra le pieghe della pelle), peso eccessivo del vello (fino a metà del peso complessivo) e sbalzi di temperatura anche mortali al momento della tosatura. Durante i periodi più caldi gli animali sono sfiniti dalle alte temperature e nelle pieghe della pelle nella zona rettale si accumulano facilmente urine e feci. Quest’ultime attirano le mosche a deporre le uova, causando notevoli disagi e problemi di salute quando nascono le larve. Per evitarlo, gli allevatori strappano larghi brandelli di pelle alle pecore con una pratica nota come mulesing. Ciononostante, spesso le mosche depongono le uova sulle ferite sanguinanti, prima che abbiano il tempo di guarire.
In Italia sono presenti circa una ventina di allevamenti di visoni, collocati in campagna in luoghi preferibilmente umidi per favorire la morbidezza del pelo. Qui vicino a Dovera, Capralba, Misano (due), Offanengo e Credera Rubbiano. Sono costituiti tipicamente da capannoni aperti ai lati ma posti in modo che la pelliccia sia protetta dal sole, che tende ad arrossirla. All’interno sono sistemate le gabbie che contengono gli animali, poste in batteria per facilitare il lavoro dell’allevatore, interamente in rete metallica e rialzate da terra. Le gabbie per legge misurano 36×70 cm e sono alte 45 cm, con più esemplari all’interno. Il tutto cinto da una rete a cui è fissata una lamiera per impedire l’eventuale fuga di qualche visone uscito dalla gabbia. Questi animali si differenziano in riproduttori/fattrici oppure esemplari giovani. Se sono riproduttori o fattrici vivono in queste gabbie per tre, quattro anni, fino a quando generano figliate con un pelo scadente o si ammalano e quindi, di conseguenza, vengono uccisi e scuoiati anche loro. I loro cuccioli invece sono destinati subito a questo scopo, solo alcuni avranno il destino dei genitori e di conseguenza verranno in un primo momento risparmiati così da poterli far riprodurre gli anni successivi. Nel mese di marzo il visone femmina viene introdotto nella gabbia del maschio. Nei mesi di aprile-maggio nascono i piccoli. Il livello di stress è talmente alto che basta un rumore sospetto unito alle condizioni innaturali di vita per far sì che la madre divori la propria prole. Verso luglio i visoni sono cresciuti e vengono separati dalla madre per evitare zuffe che rovinerebbero il pelo. Il cibo viene somministrato direttamente sopra la gabbia, un miscuglio di farina di grano e frattaglie di pollame e pesce, che i visoni leccano tra le maglie della rete e a cui sono aggiunti a volte farmaci e psicofarmaci per inibire lo stress, i comportamenti stereotipati e nei casi più gravi le automutilazioni, comportamenti direttamente collegati alla mancanza di libertà. Questi splendidi animali non toccano mai l’erba e l’unico contatto che possono permettersi con l’acqua è attraverso un beverino che ne rilascia poche gocce. Questo singolo particolare comporta già un tormento e una fonte di disperazione perché l’acqua è per i visoni un elemento naturale fondamentale, capaci come sono di nuotare per chilometri in un giorno. Infine, nel mese di dicembre, all’età di circa 8 mesi, sono uccisi con metodi studiati per non rovinare il pelo: – camera a gas a base di Biossido o Monossido di Carbonio (scatolone in cui tramite un tubo viene immesso il gas di scarico del trattore) Di solito i visoni prima di essere gettati nella camera a gas non vengono storditi, completamente coscienti si ritrovano ammucchiati in mezzo ai propri fratelli attendendo la morte che può arrivare anche dopo qualche minuto. – dispositivi meccanici che perforano il cervello – rottura delle ossa cervicali – iniezione letale
Non esiste un censimento ufficiale dei giardini zoologici italiani. Circa 88 strutture hanno richiesto la licenza, ma il numero di quelle esistenti è in realtà maggiore. Questa confusione deriva dal fatto che nel nostro paese una legge del 1968 equipara certe attività fisse che detengono animali in cattività con i circhi e gli spettacoli viaggianti. In queste strutture infatti gli animali subiscono: disagio per la reclusione costante in un ambiente surrogato che per quanto spazioso e con arricchimenti ambientali non potrà mai sostituire la libertà nell’ambiente naturale; repressione di tutti gli istinti selvatici, gli animali sono completamente dipendenti per ogni necessità dagli esseri umani; stress dovuto alla presenza dei visitatori; difficoltà di adattamento al nuovo clima; alimentazione differente da quella che sceglierebbero in natura.
Le giovani galline non producono uova prima dei 5 mesi di età. Per questo periodo di tempo vengono detenute in strutture apposite che possono essere o capannoni simili al classico allevamento a terra oppure batterie di gabbie su più piani. Le gabbie sono disposte su vari piani sovrapposti. In genere quattro o cinque ma esistono anche capannoni con sei piani di gabbie. Questa disposizione permette all’allevatore di stipare fino a 18 animali per metro quadro. Per le prime settimane di vita all’interno dei capannoni vengono poste lampade termiche per tenere caldi i pulcini. L’illuminazione artificiale viene tenuta accesa anche per 24 ore al giorno per indurre gli animali a mangiare in continuazione e raggiungere in tempi minori l’età fertile. I mangimi sono creati appositamente per questo scopo e addizionati con sostanze che stimolano l’appetito e con aggiunta di antibiotico in quantità invasive e spesso somministrate addirittura in maniera preventiva. Tutta la sofferenza, lo stress e le sostanze nocive che si concentrano in ogni singola gallina si ritrovano poi nelle loro uova.
Sono allevati a terra in ampi capannoni dove vengono stipati decine di migliaia di animali: con una densità di 10-15 per metro quadro: lo spazio utile per ogni pollo è inferiore a una scatola di scarpe. Questa condizione impedisce ai broiler di compiere i comportamenti normali della specie (razzolare, beccare per terra) e li costringe a restare immobili per i 2/3 della loro vita, appollaiati sui propri escrementi, spesso i polli si trovano a condividere il poco spazio con i morti. Per evitare malattie, i polli sono sottoposti costantemente a cure antibiotiche. Spesso sono maltrrattati dagli operatori. Illuminazione artificiale, rumore, temperature elevate sono le condizioni normali a cui sono costretti. L’alimentazione è costituita integralmente da mangimi industriali composti da cereali transgenici, proteine animali, olii esausti.
Le oche sono allevate per produrre il ‘paté de foie gras’ (ovvero fegato grasso) e negli allevamenti devono ingrassare in breve tempo: il loro fegato deve ingrossarsi fino a dieci volte la dimensione normale per essere utilizzato nella produzione del patè d’oca destinato al consumo umano. Nelle ultime due settimane di vita le oche e le anatre vengono nutrite fino ad 8 volte al giorno con un tubo metallico di circa 28 cm inserito nella gola che raggiunge direttamente il gozzo causando gravi lesioni all’animale. La quantità di cibo è pari ad un terzo del loro peso. Questo trattamento è denominato gavage (ingozzamento).
In Italia si allevano circa 9 milioni di maiali, l’Emilia Romagna e la Lombardia sono nel totale le regioni che contano più allevamenti. Queste strutture sono state create per ottimizzare i tempi di produzione, il che significa allevare più animali nel minor spazio possibile: le misure di questi spazi sono state studiate per consentire ai maiali la sola sopravvivenza. Inoltre un’alimentazione inadeguata, forzata e ricca di proteine fa in modo che il loro peso aumenti in tempi brevissimi.
Quando stanno per partorire, le scrofe vengono spostate nelle sale parto. Anche qui non hanno spazio per muoversi o voltarsi e tutto quello che possono fare è solo alzarsi, abbassarsi e guardare le sbarre di metallo. L’unico stimolo rimane il cibo. Il rischio di schiacciare i piccoli è altissimo; in natura la madre preparerebbe un giaciglio comodo di foglie e rami per accudire la propria prole.
La durata della vita di una scrofa dipende dalle sue prestazioni: viene uccisa appena ha problemi di parto, se si ammala o quando non partorisce abbastanza maialini. In media viene mandata al macello all’età di 2 anni, dopo 3 o 4 gravidanze, se lasciata vivere in pace vivrebbe circa 18 anni.
L’ingrasso dei maiali è fatto di molti passaggi da un reparto all’altro degli allevamenti. Da stanze chiuse in cui i piccoli, detti lattonzoli, sono in box con fondo traforato per favorire lo scarico delle deiezioni, fino alle porcilaie in cui i maiali al massimo del loro peso giacciono in mezzo allo sporco e gli escrementi. In ognuna di queste sezioni l’unico stimolo che questi animali hanno è il cibo, che arriva meccanicamente e riempie le mangiatoie. Gli animali lo sentono molto prima che arrivi.
Nei capannoni di gestazione le scrofe vengono tenute chiuse in gabbie singole poste in interminabili file. Nello stesso capannone di gestazione, isolati, ci sono alcuni maschi. La loro presenza e un loro passaggio quotidiano nei corridoi servono per stimolare gli ormoni e il calore delle scrofe. Al termine del giro di stimolazione, il verro viene condotto in una stanza dove gli viene fatto montare un manichino con una vagina artificiale, in cui il seme viene prelevato e in seguito analizzato, diluito in dosi e utilizzato per inseminare.
La pavimentazione costituita da grate di ferro o plastica, funzionale all’allevatore per ripulire le gabbie più velocemente, risulta terribile per i maialini che frequentemente rimangono incastrati con le piccole zampe nelle fessure provocando in alcuni casi la rottura degli arti nel tentativo di liberarsi. Chiaramente queste fratture non vengono in alcun modo curate per il semplice motivo che non interferiscono con la produzione.
A circa 2/3 settimane, i cuccioli vengono allontanati dalla madre. I maialini vengono trasferiti nel reparto ingrasso. Tenendo conto che la gestazione dei maiali dura 4 mesi, vengono ingravidate 2 volte all’anno con la possibilità di partorire 12 porcellini per volta.
Appena nati, i maialini maschi sono castrati con un bisturi o con un’apposita macchina, senza alcuna anestesia. Questa dolorosa operazione viene fatta per non pregiudicare il sapore della carne qualora l’animale venisse ucciso dopo la pubertà, come accade per la produzione dei prosciutti. A tutti i suinetti (maschi e femmine), sia quelle che verranno mandate all’ingrasso che quelle destinate alla riproduzione, vengono strappati i denti canini per prevenire la possibilità di ferire i capezzoli della madre durante l’allattamento. Viene tagliata loro anche la coda, questo per ovviare alle devianze comportamentali dovute all’allevamento intensivo, che li porta a mordersi a vicenda.
La mancanza di terra per grufolare, i ridotti spazi vitali e l’assenza di stimoli accresce a dismisura l’aggressività dei maiali, che si azzannano fra di loro o leccano continuamente le sbarre.
Le razze sono manipolate per deporre un numero innaturalmente alto di uova. Per contrasto, i polli selvatici fanno soltanto poche covate, da 10 a 15 uova all’anno. Come tutti gli uccelli, depongono uova soltanto durante la stagione di accoppiamento e solo a scopo riproduttivo. Disturbi e malattie all’apparato riproduttivo, dolorosi e spesso fatali, sono il risultato di questa storia di manipolazioni genetiche invasive per la sovrapproduzione di uova ed essi sono presenti anche nelle cosiddette razze antiche.
Dopo un periodo variabile tra 1 e 2 anni la produttività delle galline ovaiole non risulta più conveniente e vengono quindi destinate al macello. In libertà una gallina vive tra i 10 e i 15 anni. Degli operai catturano gli animali nei capannoni e li stipano in gabbie di plastica che vengono caricate sui camion. Il viaggio viene fatto solitamente la notte, con qualunque condizione meteo, le galline spesso si rompono le zampe o le ali, hanno colpi di calore, ipotermia, disidratazione, infarti: molte di loro muoino prima di arrivare al macello. L’uccisione avviene per sgozzamento, successivamente, i cadaveri appesi per le zampe, vengono spennati e fatti a pezzi. Diventano carne di seconda scelta o alimenti per altri animali.
Gli incubatoi sono strutture adibite appositamente alla schiusa delle uova. Le uova feconde vengono sistemate su dei carrelli a più piani che vengono introdotti in celle dalla temperatura controllata. Restano qui fino alla schiusa che nel caso delle galline è di 21 giorni. Immediatamente dopo la schiusa i pulcini passano tra le mani di addetti specializzati nel riconoscimento del sesso. Questa operazione ha la funzione di separare le femmine, che verranno avviate alla produzione di uova, dai maschi, che vengono immediatamente uccisi in quanto improduttivi. Infatti, maschi della gallina ovaiola non vengono avviati alla produzione di carne in quanto questa determinata sottospecie è stata incrociata e modificata tenendo conto di una specifica caratteristica sopra le altre: la produzione smisurata di uova. I polli da carne sono invece selezionati tenendo conto di caratteristiche completamente diverse come la qualità della carne e la capacità di ingrassare in tempi minimi. Un maschio di gallina ovaiola non potrebbe mai essere competitivo né nella fase di ingrasso né sul mercato alimentare. Per questi motivi risulta più conveniente eliminare i maschi subito dopo la schiusa. Per fare questo vengono in genere, semplicemente gettati via vivi. A volte nei tritacarne, a volte nel congelatore, altre volte semplicemente ammucchiati tra l’immondizia.
Il pollo da mangiare è di norma il broiler, che è a rapido accrescimento. La sua vita è brevissima: – i polli utilizzati nelle rosticcerie per essere venduti cotti sono macellati dopo circa 35 giorni e hanno un peso inferiore ai 2 Kg; – il pollo da vendere intero viene macellato intorno ai 40 giorni, quando raggiunge un peso intorno ai 2,8 kg, – i polli destinati ad essere porzionati e venduti utilizzando soprattutto le cosce, il petto e le ali sono più grossi e vivono qualche giorno in più.
Si allevano galline ovaiole anche IN GABBIE ARRICCHITE, in cui lo spazio a disposizione di ogni gallina passa dai 550 cmq dell’allevamento in batteria a 750 cmq. Il sovraffollamento è anche in questo caso fonte di stress e aggressività. Le galline si accalcano l’una sull’altra nei pressi del nido, sui posatoi e se illuminate si avventano sul cibo. A TERRA, dove le galline non hanno accesso all’esterno ma non sono chiuse in gabbia. Sono “libere” di muoversi all’interno del capannone. A volte sono in capannoni con fondo di cemento ricoperto di paglia, nei quali sono disposti dei tunnel di plastica con vari accessi nei quali le galline depongono le uova. In alcuni capannoni gli animali vivono costantemente calpestando i propri escrementi. Nel capannone non trapelano né aria né luce naturale,le galline sono così ammassate che non è possibile vederne nemmeno i pavimento. Questa metodologia prevede che il capannone venga pulito esclusivamente a fine ciclo, quando cioè le galline vengono macellate e il capannone svuotato. In altri casi all’interno dei capannoni vengono poste strutture di ferro simili a gradinate (i piani). Queste strutture assecondano l’istinto delle galline di cercare rifugio sugli alberi e permettono all’allevatore di moltiplicare la superficie occupabile dagli animali. In alcuni casi questa metodologia è anche funzionale all’automatizzazione della raccolta delle uova e delle feci. Questa tipologia di allevamento risolve in parte i problemi derivati dallo sfregamento delle penne sulle gabbie e della crescita incontrollata delle unghie. Restano però l’aggressività, lo stress, i deficit da mancanza di luce naturale e tutte le problematiche che ne derivano. ALL’APERTO, ovvero un allevamento a terra che dà la possibilità agli animali di uscire in aree recintate per alcune ore al giorno. L’interno dei capannoni è identico a qualunque allevamento a terra. Ma dato che le galline non fanno pulcini durante la stagione fredda e che nessun allevatore può permettersi di mantenere degli animali per vari mesi senza che questi gli garantiscano un profitto, le galline allevate all’aperto restano all’interno dei capannoni per tutta la stagione invernale. In ogni caso, il pascolo aperto e quasi senza alberi è un ambiente artificiale ed estraneo, nel quale i polli si sentono vulnerabili ed esposti ai predatori. I polli da allevamento all’aperto spesso manifestano alti livelli di cortisolo (l’ormone dello stress), che indicano appunto una sensazione di pericolo. L’allevamento BIOLOGICO consente alle galline di uscire all’aperto su un terreno coltivato in maniera biologica; le galline sono inoltre alimentate con mangimi biologici all’80%. Gli animali trascorrono nel capannone i 2/3 della loro vita. La densità di animali è inferiore rispetto a tutti gli altri sistemi. e non subiscono il taglio del becco o altre mutilazioni; inoltre l’allevamento biologico vieta l’uso di sostanze sintetiche che favoriscono la crescita, aumentano l’appetito e ostacolano il naturale sviluppo dell’animale.
Si allevano galline ovaiole anche IN GABBIE ARRICCHITE, in cui lo spazio a disposizione di ogni gallina passa dai 550 cmq dell’allevamento in batteria a 750 cmq. Il sovraffollamento è anche in questo caso fonte di stress e aggressività. Le galline si accalcano l’una sull’altra nei pressi del nido, sui posatoi e se illuminate si avventano sul cibo.
n Italia esistono quattro tipologie di allevamento intensivo per la produzione di uova. IN GABBIA IN BATTERIA, metodo fuori legge dal 1 gennaio 2012. Nonostante questo, in Italia, circa il 50% degli allevamenti in gabbia non si è adeguato e utilizza ancora il vecchio sistema. Le galline allevate in batteria sono stipate in gabbie di pochi cmq. In ogni gabbia vengono ammassati fino a cinque individui, ma esistono testimonianze filmate di gabbie con anche otto galline all’interno. La vita di questi animali è costituita di tre attività principali: mangiare, produrre uova e tentare di ritagliarsi un minimo spazio vitale a scapito delle compagne di cella. Il cibo è somministrato automaticamente da un nastro trasportatore, per raggiungerlo le galline allungano il collo fuori dalle sbarre orizzontali della parte anteriore della gabbia. Il continuo sfregamento con le sbarre le porta in poche settimane a perdere completamente le penne dal collo. IN GABBIA. Il pavimento delle gabbie è, come ogni altra superficie, costituito da una rete metallica. È posto in pendenza verso l’esterno di modo che le uova possano rotolare su un secondo nastro trasportatore e essere raccolte giornalmente dagli operatori. Il continuo contatto delle zampe con una superficie di rete causa ferite e malformazioni e l’impossibilità di razzolare fa crescere le unghie a dismisura. La condizione di sovraffollamento è in questo tipo di allevamento esasperata oltre ogni limite. Le galline riescono a stento a muoversi e quando lo fanno devono per forza di cose calpestarsi a vicenda. Lo sfregamento delle ali e dell’addome sulle pareti della gabbia fa perdere in poche settimane le penne e le piume.
Tutti i pulcini che saranno immessi negli allevamenti intensivi subiscono la mutilazione del becco. Questa pratica viene effettuata entro i primi 10 giorni di vita tramite uno strumento apposito costituito sostanzialmente da una lama incandescente che amputa la punta del becco e cauterizza automaticamente la ferita. Questa dolorosa operazione viene effettuata per limitare i problemi derivati dall’aggressività indotta dallo stress degli allevamenti intensivi. Infatti agli animali, sottoposti a situazioni al limite della vivibilità, condannati sostanzialmente ad una vita di continua sofferenza, insorgono comportamenti aggressivi nei confronti dei loro simili. Per evitare che il continuo beccarsi e strapparsi le piume reciprocamente possa causare ferite mortali gli allevatori non hanno trovato soluzione migliore che l’amputazione della parte terminale del becco.
I polli non broiler sono: i maschi delle galline ovaiole che non vengono soppressi il giorno dopo la nascita (i Golden, maschi delle ovaiole bionde o i Livornese, maschi delle ovaiole bianche) venduti nei supermercati Coop nella linea di prodotti Fior Fiore. A crescita media, il Collo nudo o il Kabir. A crescita lenta, il pollo Romagnolo o il Valdarnese diventati in qualche caso presidi Slow Food. Sono generalmente allevati come estensivo al coperto, e vengono macellati dopo 70 – 110 giorni.
Le femmine dei tacchini vivono circa 100 giorni, i maschi 140. Inseminati forzatamente e fatti nascere negli incubatoi, i tacchini vivranno poi in enormi capannoni, ammassati fra loro. Il becco viene reciso alla nascita per evitare episodi di aggressività che possono comportare perdite per l’allevatore. Le condizioni di vita sono orribili, come per i polli.
In Italia non vi sono più allevamenti di volpi, i principali paesi produttori delle loro pelli sono Finlandia e Polonia. Solitamente vengono allevate in capanni simili a quelli dei visoni. Le dimensioni tipiche delle gabbie sono di 80 x 105 cm e 70 cm di altezza, in ognuna di queste gabbie vengono rinchiusi uno o più animali. Il pavimento è in rete metallica per consentire alle feci degli animali di cadere al suolo attraverso le maglie, eliminando così ulteriori operazioni di pulizia delle gabbie. Malattie ereditarie, patologie fisiche e mentali legate allo stress e alle condizioni agghiaccianti di vita non risparmiano questi animali, che mantengono tutti i loro istinti e bisogni selvatici rimanendo timidi e impauriti dalla presenza umana. Raggiunti gli 8-10 mesi di vita le volpi vengono uccise tramite: elettrocuzione: un filo metallico viene inserito nell’ano e nella bocca degli animali, in questo modo viene rilasciata una corrente elettrica di 200 volt che percorre il loro corpo per 3 lunghissimi secondi. iniezione letale: per quanto riguarda le fattrici, invece verranno uccise all’età di 5/6 anni.
L'UDA è uno sportello aperto ai cittadini che si occupa di:
· tutelare la salute ed il benessere
degli animali d’affezione;
· prevenire il randagismo.
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